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Astrofili - Parte 2 - IL PRESIDE GIULIO COSTA E IL 'SUO' LICEO (2006)

dal libro: IL PRESIDE GIULIO COSTA E IL 'SUO' Liceo

GLI ASTROFILI LUGHESI DEGLI ANNI ’60
(PARTE 2 )

Riportiamo il capitolo dedicato all’astrofilia lughese (Gruppo Astrofili Antares compreso) contenuto nel libro :

Capitolo originale, estratto dal libro :
Il preside Giulio Costa ed il ‘suo’ Liceo
Autori : Cesarino Brusi e Francesco Dalla Valle
opera finanziata da Fondazione Cassa di Risparmio di Lugo – Anno 2006

L’EMERGENTE PASSIONE PER L’ASTRONOMIA NEL LUGHESE
ALL’INIZIO DEGLI ANNI ’60:

I PROPOSITI DI GIULIO COSTA E L’OPERA DI GIOVANNI ROCCATI

L’IDEA INIZIALE DEL TELESCOPIO

(NdR: la voce narrante è del Prof.Francesco Dalla Valle)

La prima volta che ci accadde di incontrare e di conoscere Giovanni Roccati fu in una occasione non sappiamo quanto casuale o quanto preparata. Era un tardo pomeriggio della seconda metà di ottobre dell’anno 1957, un periodo dell’anno in cui le giornate cominciano presto a declinare ed in cui, in assenza dell’ora legale, piuttosto bruscamente la luce del sole autunnale lascia il posto alle ombre della sera.
Nella sede di via Tullo Masi l’ufficio del preside Giulio Costa si trovava al primo piano dell’edificio che ospitava il Liceo Scientifico e che dava su di un viale alberato, proprio di fronte all’ospedale civile.
Giovanni Roccati e Giulio Costa stavano già conversando tra di loro quando non è più molto chiaro il ricordo se per convocazione o su appuntamento ci recammo nell’ufficio del preside, con ogni probabilità, com’era frequente in quegli anni, per trattare questioni di sindacalismo scolastico.

Dopo le presentazioni di rito, Giulio Costa, con l’entusiasmo che lo pervadeva quando nell’aria c’era qualcosa che sapeva di novità e con la fierezza del maestro che vede nella abilità dei suoi allievi la prova della bontà del suo operato, prese a mostrarci taluni lavori che nel tempo libero Giovanni Roccati aveva realizzato di sua mano con la valentia e la passione dell’artista. In prima battuta soffermò la nostra attenzione su dei modellini di aerei, che riproducevano in modo perfetto gli originali da lui studiati con precisione assoluta e che, dotati di motore, erano pronti per esser fatti volare; in seconda battuta, quasi come un’aggiunta occasionale e di minor importanza, spostò la nostra attenzione su di uno specchio concavo e lucidato a mano, di circa 25 cm di diametro, in parte ancora imperfetto e non ben rifinito, costruito dallo stesso Giovanni Roccati per l’osservazione della volta celeste.

Si trattava di uno dei molti lavori un po’ fuori dal comune ai quali si dedicava nell’officina di casa sua al fine di trovare soluzione concreta e strumentale a problemi scientifici di qualche rilievo teorico e culturale: su di essi, con preferenza per quelli inconsueti o trascurati dalla scienza ufficiale perché ritenuti di poco rilievo o di scarso interesse, e nel costante tentativo di cercare una ragione a tutto, specie a ciò che a prima vista sembrava di difficile spiegazione, egli talvolta si ritrovava a formulare ipotesi interpretative di ingegnosa originalità ed a proporre soluzioni teoriche o costruttive di suggestivo acume.

( * )
Prima di proseguire nella narrazione di quell’incontro, conviene fare qualche considerazione non solo sui rapporti d’amicizia che si erano stabiliti tra i due protagonisti, ma anche sul momento personale che essi vivevano e sugli eventi storici o contingenti che a quel momento facevano da sfondo.

Si era, dunque, all’inizio dell’anno scolastico 1957/58, periodo determinante per la messa in cantiere dell’edificio del nuovo Liceo che doveva sorgere in Viale degli Orsini. Il preside era tutto impegnato a studiare e a definire le caratteristiche tecniche ed edilizie di quella sua creatura che aveva fortissimamente voluto e la cui edificazione sembrava dovesse essere iniziata da un momento all’altro: la sua mente non si staccava mai dal pensiero di come rendere migliore il progetto dell’edificio ed in ogni istante era tesa ad individuare i requisiti funzionali e peculiari che esso avrebbe dovuto avere.

In quel momento era ben lontano dal sospettare che gli intralci della burocrazia avrebbero rimandato l’avvio della costruzione ancora di due anni.

Non deve destar meraviglia, pertanto, se Giulio Costa era solito tirar tardi ogni sera in ufficio per mettere a punto nuove proposte e nuovi suggerimenti da sottoporre all’architetto Giuseppe Rustichelli in vista di una più completa e moderna impostazione strutturale del suo futuro Liceo, il quale, come egli ambiva, doveva segnalarsi per diversità e funzionalità architettoniche tra i Licei del territorio.

Quando poi incontrava qualcuno che poteva dare un positivo contributo alle sue progettazioni o che poteva offrire lo spunto per idee interessanti ed inedite, non si lasciava sfuggire l’occasione per intrattenere a colloquio il potenziale ispiratore di novità e per intavolare con lui dei discorsi che magari la prendevano alla larga, ma che poi, per via più o meno indiretta, egli faceva scivolare sull’argomento che gli premeva.

Ebbene, sotto questo profilo Giovanni Roccati era un personaggio così dinamico e così vulcanico che ben si adattava al modo di concepire la giornata da parte del preside: per ambedue essa era da trascorrere in costante operosità ed all’inseguimento di traguardi sempre più avanzati.

Giovanni Roccati era un ex studente del suo Liceo e Giulio Costa con tutti i suoi ex alunni manteneva rapporti di cordiale familiarità e non cessava di seguirli sia sul piano personale che su quello professionale.

Per di più egli era un ex studente un po’ particolare, giacché aveva frequentato il quinquennio liceale in età piuttosto avanzata (attorno ai vent’anni), ed era uno che aveva conservato una forte curiosità culturale e nel contempo, tanto prima quanto dopo la frequenza del Liceo, aveva fatto esperienze lavorative nei più svariati settori dell’artigianato.

Era del 1929 e a 28 anni, nel 1957, aveva ormai avuto modo di maturare interessi e di acquisire abilità manuali in parecchi settori del mondo del lavoro.

Giovanni Roccati, infatti, si dedicava con passione ad ogni tipo di attività lavorativa purché essa richiedesse inventiva, ingegnosità e nessuna ripetitività: considerato sotto questo profilo, era uno che non avrebbe mai potuto lavorare da impiegato in un ufficio o da operaio in una catena di montaggio.

Non perché fosse privo di capacità di concentrazione od all’occasione finanche della paziente meticolosità del certosino, ma l’esercizio di tali qualità non doveva essergli richiesto per tempi troppo lunghi, data la sua intrinseca tendenza ad architettare sempre qualcosa di nuovo e ad inseguire ogni volta la modificazione ed il miglioramento delle tecniche di lavoro.

Doveva essere lasciato libero di dar corso alla imprevedibilità degli interessi che a mano a mano lo conquistavano e che non di rado in lui si sovrapponevano. Se poi gli capitava di affrontare il problema della costruzione di uno strumento e di risolverlo con troppa facilità, era capace di interromperne l’esecuzione per manifesta impossibilità di ideare qualcosa di originale e di introdurvi qualche innovazione personale; se gli capitava di incappare in un errore durante l’effettuazione di un lavoro, era capace di non preoccuparsi della correzione dell’errore in quanto tale, ma di approfittare di esso per escogitare procedure costruttive più efficaci e diverse da quelle prima ipotizzate.

Tant’è che se per qualche necessità si trovava costretto a riprodurre una seconda volta lo stesso apparecchio, di sicuro lo rifaceva apportandovi qualche modifica migliorativa.

Con un personaggio siffatto Giulio Costa si trovava a meraviglia: lui era sempre alla ricerca di novità e Giovanni Roccati era una fucina di idee; lui gli sottoponeva qualche problema, meglio se inusuale o complesso, e Giovanni Roccati si metteva all’opera per trovargli una soluzione; lui in ogni situazione progettuale era animato da contagiosa carica propulsiva e Giovanni Roccati aveva necessità di qualcuno che desse impulso e sbocco esecutivo alla sua estrosità; lui per natura era uno portato a trasmettere stimoli e motivazioni a che si procedesse sulla strada della concretizzazione, anche la più problematica, e Giovanni Roccati aveva bisogno di qualcuno che lo sollecitasse a tener vivi i suoi poliedrici appassionamenti e a tradurre in pratica le sue intuizioni.

Insomma, Giulio Costa e Giovanni Roccati erano due personaggi fondamentalmente dissimili tra loro, ma che si intendevano e si integravano in maniera sorprendente: il primo perseguiva sempre l’innovazione, anche se non ne perdeva mai di vista la possibile trasposizione nella concretezza della quotidianità; il secondo, negli intervalli dei suoi mille impegni volti a risolvere i problemi pratici del quotidiano, metteva a profitto la versatilità del suo talento, tra le altre cose, sia per studiare nell’uomo e nella natura i fenomeni che di volta in volta destavano il suo interesse, sia per costruire, quando era possibile, le strumentazioni più adatte a dimostrare per via sperimentale le leggi che descrivono l’evolversi di quei fenomeni.

Il preside Costa ed il prof. Roccati, dunque, ispiravano le loro intense attività extra-professionali a finalità sostanzialmente diverse: il primo le indirizzava in prevalenza alla realizzazione di sé e del suo Liceo; il secondo non trascurava di esplorare orizzonti più vasti, che andavano dalla attenzione per lo spirito d’avventura dell’uomo alla curiosità per gli aspetti del sapere più avanzato nei campi della tecnica e della scienza.

Tanto per spiegarci, prendiamo l’esempio dell’osservatorio astronomico che sia Giulio Costa sia Giovanni Roccati si impegneranno ad installare nel Liceo.

Il preside mirava a realizzarlo per far sì che nella sua scuola ci fosse una apparecchiatura di grande prestigio quale le altre scuole neanche potevano sognarsi di possedere; il professor Roccati desiderava realizzarlo per consentire allo sguardo suo e dei suoi amici di spingersi più lontano e più a fondo nei misteri della volta celeste.

I loro, pertanto, erano modi d’agire differenti, ma complementari, per cui tra i due si creava una collaborazione spontanea che li indirizzava a finalità magari diverse, ma mai divergenti.

Soltanto, però, che da soli non facevano squadra, ed invece essi erano due che non potevano progettare in solitudine, ma che avevano sempre bisogno di rapportarsi con gli ‘altri’.

In ogni circostanza dovevano cercare di allargare (sempre con discernimento!) la cerchia dei partecipanti al gioco creativo che di volta in volta ponevano in essere: Giulio Costa perché ci teneva ad avere continui contatti con gli ‘altri’ per una analisi ed un approfondimento delle innovazioni che nelle varie circostanze veniva progettando e per dimostrare a tutti che le sue iniziative non erano tese a soddisfare desideri personali, ma a conseguire il miglioramento di quel bene di tutti che era il suo Istituto; Giovanni Roccati perché aveva bisogno di controllare nel confronto con gli ‘altri’, specie con quelli che ne sapevano più di lui, la correttezza delle progettazioni pensate o delle soluzioni trovate, di ricevere da loro l’incoraggiamento a non lasciare a metà le creazioni pratiche, che talvolta se si protraevano troppo gli venivano a noia, o di trovare sostegno per quelle teoriche, che invece non abbandonava mai, anzi sempre rimeditava e magari rielaborava.

Beh, a posteriori, ci sorge il dubbio che quella sera di fine ottobre 1957 noi fossimo stati chiamati ad interpretare giust’appunto il ruolo degli ‘altri’.

(*) Bisogna ricordare che quelli erano giorni di diffusa esaltazione scientifica per il lancio in orbita (4 ottobre) del primo satellite artificiale sovietico: lo spazio e i pianeti, la luna e le stelle si facevano più vicini ed alla portata dell’uomo.

Anzi, i più audaci si arrischiavano persino a profetizzare che presto o tardi un piede umano sarebbe arrivato a posarsi sul suolo lunare, anche se le previsioni rimandavano l’impresa a non meno di una quarantina d’anni dopo, agli albori del nuovo millennio!

La scienza e l’astronomia erano presentate sui mezzi di informazione con fantascientifiche proiezioni in avanti ed ovviamente le riflessioni su di una attualità così stimolante e ricca di incognite non potevano non coinvolgere anche due personaggi come Giulio Costa e Giovanni Roccati: il primo perché era interessato a scoprire come le novità riguardanti le scienze fisiche ed astronomiche potessero entrare tra le proposte didattiche e strumentali del suo Liceo; il secondo perché era conquistato dal pensiero di come poter pervenire alla osservazione domestica dei corpi celesti con strumentazioni semplici e costruibili nella officina di casa.

Questo era uno dei casi in cui l’uno e l’altro avevano interessi abbastanza diversi, seppure in ultima analisi convergenti, per ragionare insieme dell’argomento.

E così, tra un discorso e l’altro, tra un commento e l’altro, tra una ipotesi e l’altra, quella sera, nell’ufficio di presidenza del Liceo Scientifico, ci si dimenticò ben presto delle solite prosaiche questioni sindacali per volare più in alto, tra le tematiche dello spazio e dell’astronomia.

Ed intanto, fuori, si vedeva scendere il buio della sera, attenuato all’interno dell’ufficio dal riflesso delle fioche luci pubbliche provenienti dalla strada che passava lì davanti. Ed anche dal nitido chiarore di una splendida luna piena che nel frattempo era sorta in cielo ed entrava dal vano della porta-finestra di tra i rami dei platani ormai quasi privi di foglie per i primi rigori dell’autunno.

Fu a quel punto che Giulio Costa, quasi con nonchalance, lanciò la proposta di far la prova di come funzionasse lo specchio concavo portato con sé da Giovanni Roccati, per vedere se esso, seppur fatto in casa e non del tutto rifinito, potesse far la parte di un eventuale telescopio.

Giovanni Roccati non se lo fece ripetere due volte ed all’istante si mise all’opera con la precisa rapidità di movimenti che lo caratterizzava per posizionare lo specchio con l’inclinazione più conveniente per la miglior osservazione del globo lunare che era comparso nel riquadro della finestra.

E subito rimanemmo tutti stupiti ed affascinati dalla bellezza delle immagini che si riflettevano nello specchio, immagini così circostanziate quali nessuno di noi aveva mai avuto modo di osservare nel chiuso di una stanza ed in una sistemazione così precaria.

Si potevano distinguere con nitidezza quei dettagli di cui si era letto e studiato sui libri e di cui tanto si parlava in quei giorni: i crateri, i monti e le ombre che essi proiettavano sul suolo lunare, i cosiddetti mari e le zone oscure che ad occhio nudo, quando la luna è piena e chiara, paiono riprodurre i lineamenti di un volto umano. (NdR: “bacio della Luna”)

Giovanni Roccati era felice delle nostre esclamazioni di sorpresa e di meraviglia ed assicurava che avrebbe potuto fare ancora di meglio solo che avesse avuto un po’ più di tempo per mettere a punto uno specchio maggiormente perfezionato.

Giulio Costa non lo era di meno, per lo spettacolo che ci aveva regalato ad opera di un suo ex alunno e per l’interiore sensazione che in un futuro non lontano quel modo di indagare il cielo avrebbe potuto far parte delle risorse didattiche e strumentali del suo Liceo.

Siamo certi che quelle immagini contribuirono non poco a far nascere in Giulio Costa l’idea di quell’osservatorio astronomico che oltre dieci anni dopo effettivamente sorgerà in cima al suo Liceo.

Sia Giulio Costa, sia Giovanni Roccati rientrarono a casa quella sera un po’ più tardi del solito, ma più contenti e più ricchi di entusiasmo, l’uno per i progetti che in forma più definita cominciavano a prendere corpo nella sua mente, l’altro per il desiderio di realizzare quanto prima qualcosa di ancor più efficace e mirabile.

E noi, del tutto inconsapevoli, con le nostre esclamazioni di stupore e d’approvazione, avevamo offerto il consenso degli ‘altri’, ma di ‘altri’ destinati (anche questo allora non potevamo saperlo!) ad essere chiamati dopo qualche tempo ad avere la responsabilità diretta del perfezionamento di quei progetti e della loro utilizzazione.

IL GRUPPO INIZIALE DEGLI ASTROFILI

Quelli successivi furono anni occupati da impegni straordinari un po’ per tutti: l’incontro di cui abbiamo narrato nel paragrafo precedente non poté avere un seguito nell’immediato perché altri problemi di carattere personale urgevano per ciascuno dei protagonisti.

Mentre ognuno di noi era alle prese con i concorsi e con i passaggi di ruolo che dovevano consentire una sistemazione più soddisfacente e più stabile nell’ambito dell’insegnamento, Giulio Costa doveva combattere contro i lacci e i laccioli della burocrazia che impedivano l’avvio dei lavori per l’edificazione del Liceo in Viale degli Orsini.

Quando poi, verso la fine del 1959, i lavori presero il via, ovviamente altri e non meno complessi furono i problemi che occuparono il tempo e la mente del preside: dalla quotidiana immancabile presenza sul luogo dove stava sorgendo il nuovo Liceo alla organizzazione dei corsi serali CRACIS, dal trasferimento dell’Istituto alla progettazione dei successivi lotti, dall’introduzione di insegnamenti sperimentali alla individuazione di docenti capaci di condurli.

Tutto congiurò a rendere le sue giornate piene di impegnative questioni da affrontare e da risolvere. Eppure, l’idea della costruzione dell’osservatorio astronomico, che avrebbe dovuto sorgere alla sommità del suo Liceo, continuò a frullargli per la testa insieme con l’idea della costruzione della torre solare, che egli aveva visto da qualche parte nel corso di un viaggio a Firenze e che si era radicata nella sua mente come una delle cose da realizzare nel suo Istituto.

Questi furono i due propositi che non l’abbandonarono mai durante la progettazione dell’edificio, tanto che l’impostazione edilizia del secondo lotto, su sua richiesta, fu appositamente progettata con la solidità necessaria per sopportare il peso della eventuale struttura straordinaria dell’osservatorio astronomico e con la predisposizione per la torre solare delle apposite condutture inserite nelle colonne di cemento per il passaggio della luce del sole dal terrazzo al seminterrato.

Si era negli anni del boom economico e Giulio Costa aveva buon gioco a far passare richieste un po’ fuori dall’ordinario e magari comportanti anche un aggravio di costi e di finanziamenti: di fronte alla decisa ed un po’ ossessionante insistenza con cui il preside avanzava le sue pretese di novità e di modernità, l’Amministrazione Provinciale finiva per cedere e per concedere, nella consapevolezza che le richieste del preside miravano, sì, alla maggior gloria dell’Istituto, ma alla fin fine tornavano anche ad onore e vanto di chi ne deliberava e ne finanziava la costruzione.

Si era per di più negli anni in cui la competizione tra russi ed americani per la conquista dello spazio si trovava in una delle sue fasi più acute.

I temi dell’osservazione del cielo e le nuove frontiere conquistate dall’astronomia e dall’astronautica non solo influenzavano e modificavano in ambito scolastico i programmi e l’insegnamento delle Scienze Naturali, ma costituivano anche una fonte di conversazione e di curiosità per la gente comune.

Basti ricordare che alla sera non erano pochi coloro che si ritrovavano negli angoli più bui delle strade, a naso all’insù, ad osservare il passaggio dei satelliti artificiali che, come luci di stelle in movimento, catturavano la fantasia dell’animo popolare, specie dopo che i lanci in orbita comportarono la presenza nello spazio di esseri viventi, si trattasse della cagnetta Laika (3-6/11/1957) o dell’astronauta Gagarin (12/04/1961).

Figurarsi poi l’eccitazione che, almeno a Lugo, prendeva in quegli anni i rari cultori delle scienze astronomiche, i quali ciascuno per conto proprio e senza sapere l’un dell’altro già da prima le coltivavano con gli strumenti che ciascuno aveva a disposizione, con le conoscenze che ciascuno si era fatto in base alle letture personali ed agli stralci di tempo di cui poteva disporre: ora più che mai la loro passione si arricchiva di risvolti di trascinante attualità e di stuzzicante attrattiva.

A Lugo, senza che gli interessati ne avessero consapevolezza, la particolare temperie di quegli anni, e molto anche la occasionalità degli eventi, contribuirono sotto sotto, e con vicende che si incastrarono come tessere di un imprevedibile mosaico, ad approfondire le conoscenze dell’astronomia ed a coordinarne l’osservazione al telescopio, fino a portare, nel corso degli anni successivi, alla costituzione di un gruppo ristretto, ma coeso di astrofili.

Ecco i protagonisti di quel sodalizio e le vicende spesso fortuite che li portarono a ritrovarsi insieme.

Giovanni Roccati dal 1959 fu impegnato a studiare ed a laurearsi all’ISEF, ma non tralasciò mai di seguire i suoi molti e svariati interessi che, poi, nel corso della sua vita non smise di estendere a tanti altri campi dell’agire umano.

Citandoli un po’ alla rinfusa e con qualche sommarietà, essi andavano dallo studio e la costruzione di alianti allo studio e la costruzione di paracadute, dalla partecipazione ai concorsi di aeromodellismo alla messa a punto di particolari mazze da utilizzare per la didattica del baseball nella sua professione di insegnante di educazione fisica, dallo studio del volo umano con i primi tentativi di volo con parapendio (lui stesso si lanciava per prova dalla sponda del Senio) alla progettazione ed al disegno dell’elicottero a pedali, dalla costruzione di sestanti per la determinazione delle coordinate dei corpi celesti alla predisposizione di un modello del sistema tolemaico, dalle ricerche dei modi per realizzare il prelievo di campioni di bassi fondali per conto del C.N.R. di Ferrara e Catania alla progettazione per conto dell’Istituto di Geofisica di Ferrara e Trieste del quartatore di campioni bagnati, dalla costruzione di meridiane all’invenzione dello strumento per costruire una meridiana su qualsiasi superficie piana verticale, dall’opera di consulenza per la costruzione di una barca a vela alla conduzione estiva come capitano di un panfilo nel mare di Genova (anche se prima non aveva mai guidato una barca!).

Tra le altre ideazioni a lui attribuibili ve ne è una che è ancora presente nella storia lughese ed è quella del tiro alla fune a quattro corde: poiché quattro sono i rioni di Lugo, il presidente della Pro Loco del tempo (l’amico Mario Minardi, di cui diremo) lo incaricò di progettare un gioco popolare che coinvolgesse contemporaneamente i quattro rioni.

E Giovanni Roccati escogitò quel tiro alla fune a quattro che ancora oggi, in occasione della festa di ‘S. Franceschino’, impegna in una competizione folcloristica i quattro rioni della città.

Se si volesse elencare tutta la infinita gamma delle occupazioni e degli interessi cui Giovanni Roccati si dedicò durante le sue frenetiche giornate, sarebbe forse impossibile non dimenticarne qualcuna.

Come un piccolo Leonardo, la sua capacità inventiva spaziò in tutti i campi delle attività umane, specie quelle che richiedevano proiezioni verso il futuro.

Si pensi che già a quei tempi egli fu uno dei primi intraprendenti che avanzò richiesta alla NASA per partecipare ai corsi di preparazione e di addestramento per diventare astronauta.

Insomma, tutte le volte che si faceva strada un’idea che avesse il timbro della originalità o dovunque si dibattesse di tematiche scientifiche aperte a sviluppi ancora non del tutto esplorati o di azioni umane richiedenti intraprendenza non disgiunta da un pizzico di follia, egli era presente e, purtroppo, era presente anche a Parigi in quel 1983 in cui, per un banale incidente nel traffico della capitale francese, incontrò una morte inopinata mentre partecipava ad un convegno sullo studio e la costruzione dei deltaplani.

Tuttavia, in mezzo ai suoi tantissimi interessi, quel che non l’abbandonò mai fu la curiosità per i misteri degli spazi stellari, per le origini della terra, dei pianeti e dei loro satelliti ed in genere per ogni tema dell’astronomia, in particolare per la costruzione ed il funzionamento dei telescopi e per i problemi ottici ad essi collegati: e, questo, anche perché trovò attorno a sé chi in quella passione lo coinvolse con un ruolo attivo ed insostituibile.

Giulio Tampieri nel 1959 era un funzionario di banca e vicedirettore della Cassa di Risparmio di Lugo che dedicava ogni momento del suo tempo libero agli studi dell’astronomia, dell’elettronica e della ricetrasmissione amatoriale.

In particolare, per quest’ultimo settore, egli aveva acquisito un discreto patrimonio di conoscenze specifiche attraverso appassionate letture di testi e di riviste specializzate; inoltre, poiché si era dotato di un telescopio a specchio di 240 mm di diametro con montatura newtoniana, egli si applicava in modo sistematico alla osservazione del cielo e raccoglieva una grande quantità di dati che arricchivano il suo bagaglio conoscitivo in campo astronomico.

Più che un semplice scrutatore del cielo, Giulio Tampieri era uno studioso di fenomeni astronomici che cercava di sistemare in un quadro logico di conoscenze, a ciascuna delle quali si sforzava di dare spiegazione ragionata e consequenziale.

Poiché questo non era sempre facile né semplice, di fronte a dati oscuri o non spiegabili sulla scorta delle cognizioni acquisite, non si faceva scrupolo di rivolgersi per iscritto agli esperti o ai redattori di qualche rivista per ottenere risposte di chiarimento.

E qui di nuovo entrò in scena e si fece protagonista il caso.

Il primo degli eventi occasionali fu che Giovanni Roccati venne a conoscenza in modo fortuito del fatto che Giulio Tampieri possedeva in proprio un telescopio: non gli parve vero di mettersi subito in contatto con il concittadino che con tutta evidenza coltivava la sua stessa passione.

I due ben presto cominciarono una fitta rete di incontri in cui Giulio Tampieri metteva a disposizione una gran messe di dati, di problemi e di interrogativi, e soprattutto uno strumento per l’osservazione notturna del cielo che ben pochi in quei tempi potevano vantarsi di possedere, e Giovanni Roccati una fortissima curiosità, un fervore coinvolgente ed una eccelsa capacità tecnica e manuale, in virtù della quale in breve tempo apportò determinanti modifiche di correzione e di miglioramento al telescopio dell’amico, telescopio che in partenza faceva registrare qualche irregolarità nel moto per compensare la rotazione della Terra.

Il secondo degli eventi occasionali si verificò quando Giulio Tampieri si vide pubblicata sulla rivista ‘Coelum’ una lettera con la quale chiedeva chiarimenti alla redazione circa il significato di taluni dati cui sulla base delle sue conoscenze non sapeva dare spiegazione.

Caso volle che la rivista con quella lettera capitasse sotto gli occhi di quello che sarà il terzo componente del gruppo lughese di astrofili.

Mario Minardi in quel tempo lavorava a Ferrara come informatore medico ed era interessato da sempre ai problemi dell’astronomia e dell’astrofisica. Dalla lettera apparsa sulla rivista a firma del concittadino egli venne a sapere che a Lugo c’era qualcun altro che si interessava degli stessi temi di cui lui era appassionato.

Ne provò meraviglia e nello stesso tempo grande soddisfazione: si mise subito in contatto telefonico col Tampieri e non tardò molto che furono in tre a ritrovarsi con una certa assiduità per parlare di pianeti e di stelle e per scambiarsi informazioni e pareri.

La cosa sorprendente era che tutti e tre si conoscevano da sempre, ma nessuno aveva mai saputo di condividere con gli altri la medesima passione: ciascuno, spinto dalle proprie curiosità, coltivava in solitudine l’interesse per l’astronomia, faceva osservazioni e si poneva problemi di cui ricercava la soluzione, per lo più rifacendosi alle notizie ed alle nozioni che ricavava dalle riviste specialistiche.

Anche Mario Minardi, che fino ad allora si era occupato di astronomia più che altro attraverso la lettura e la consultazione delle pubblicazioni del settore, si fece trascinare dall’entusiasmo che Giovanni Roccati con il suo dinamismo e le sue conoscenze tecniche sapeva trasmettere, sicché non tardò molto ad entrare nell’ordine di idee di poter disporre di un telescopio personale da installare nella propria abitazione, strumento che per forza di cose e per amor di scienza doveva rappresentare un passo in avanti rispetto a quello del Tampieri. E così, per mano di Roccati, vide la luce il secondo telescopio del gruppo, con montatura newtoniana e con uno specchio più grande del primo: raggiungeva infatti i 310 mm di diametro.

Giuseppe Bartolotti era un avvocato che aveva imparato ad interessarsi del cielo e delle stelle da quando, giovane allievo ufficiale presso l’Accademia Navale di Livorno, aveva appreso le nozioni basilari dell’astronomia, considerata in quell’epoca, che non conosceva i computer ed i satelliti artificiali, scienza imprescindibile per navigare sui mari.

Aveva avuto occasione di acquistare ad Amburgo un cannocchiale (NdR: Fraunhofer !) di buona potenza, nella cui utilizzazione tuttavia incontrò fin dall’inizio qualche difficoltà. Fu solo per caso che nei primi anni ’60 Giuseppe Bartolotti trovò in Giovanni Roccati l’uomo giusto per ridare impulso alla sua passione per l’astronomia.

Tempo addietro aveva avuto bisogno di un artigiano che si intendesse di falegnameria per taluni armadi da sistemare in casa propria e si era rivolto a Roccati che sapeva un artista in quel tipo di lavori.
Persistendo le difficoltà di utilizzo che gli procurava quel cannocchiale, si ricordò di Giovanni Roccati di cui aveva conosciuto la poliedrica capacità di intervento in ogni settore che richiedesse conoscenze tecniche od abilità manuali.

Giovanni Roccati rispose con entusiasmo all’invito dell’avvocato perché, quando si trattava di operare su problemi di lenti e di strumenti ottici, lo faceva con grande trasporto in quanto la sentiva come una piacevole opportunità per mettere a profitto la sua competenza e la sua vena creativa.

Fu così che venne a conoscenza della passione per l’astronomia dell’avvocato Bartolotti: non solo gli mise a posto il cannocchiale, ma lo informò della sua appartenenza al piccolo gruppo di tre appassionati che si era costituito a Lugo.

E così in breve i tre diventarono quattro ed il centro dei loro incontri serali e delle loro discussioni divenne proprio casa Bartolotti, presente sempre, è da notare, ed in modo attivo la giovane figlia dell’avvocato, Claudia.

Nei primi tempi uno degli argomenti delle loro conversazioni fu come realizzare un telescopio ancora più potente di quelli già in dotazione al gruppo e dove sistemarlo.

Per la sua collocazione si trovò rapidamente la soluzione perché l’avvocato Bartolotti espresse senza titubanze il desiderio di vederlo installato nella sua residenza. Il problema divenne più complesso quando nel gruppo si fece strada il progetto di non costruire soltanto il telescopio, ma anche la relativa torretta per la cupola girevole.

Neanche questo però si rivelò un ostacolo insuperabile: l’avvocato Bartolotti, con la consulenza progettuale di Giovanni Roccati, per il quale non esistevano problemi tecnici irrisolvibili, acconsentì a procedere allo sventramento del suo palazzo per l’elevazione dei piloni di cemento armato che, partendo dalle fondamenta, attraversassero in verticale tutto l’edificio sì da poter sostenere il peso di un vero e proprio osservatorio astronomico.

Allorché si trattava di realizzare un sogno, purché riguardasse argomenti di cultura, di scienza o di arte, l’avvocato Bartolotti era pronto ad affrontare qualsiasi sacrificio di carattere privato ed economico.

Poco dopo la metà degli anni ’60 e dopo parecchi mesi passati a fare incontri, studi, progetti e collaudi, vide finalmente la luce a casa Bartolotti la specola astronomica con un telescopio di tipo Newton-Cassegrain e con uno specchio di 360 mm di diametro.

Naturalmente gran parte delle operazioni di costruzione meccanica e strumentale fu a carico ed a merito di Giovanni Roccati, anche se lo specchio principale fu ordinato al sig. Marcon, un artigiano veneto di San Donà di Piave che a quel tempo preparava i migliori specchi per telescopi a livello mondiale.

Tutti i congegni di meccanica e d’orologeria di precisione Giovanni Roccati li studiava in via preventiva con gli amici del gruppo (erano aumentati a cinque, dato che nel frattempo si era aggiunto Francesco Dalla Valle), li costruiva nella officina di casa sua e li montava all’interno dell’osservatorio di casa Bartolotti.

Quest’ultima operazione avveniva negli spazi di tempo e nelle serate in cui si davano appuntamento anche per progettare e per discutere del modo migliore di mettere a frutto l’eccezionalità dello strumento che stavano per avere a disposizione.

Consultarono altri gruppi di astrofili nel tentativo di ottenere ulteriori informazioni, di conoscere le loro esperienze, di acquisire nuove idee e di stabilire nuove intese e collaborazioni, ma per la verità gli altri gruppi di astrofili, più che dei consulenti, divennero ben presto degli utilizzatori del telescopio di casa Bartolotti, perché uno strumento di quella potenza nessuno lo aveva a portata di mano in una casa privata.

Parteciparono a congressi ed a convegni, discussero di quanto venivano apprendendo e maturarono delle idee. Alla conclusione di una disamina di gruppo abbastanza lunga ed accurata, decisero alfine di partire con l’osservazione e lo studio anche fotografico dei pianeti, delle stelle variabili e delle stelle doppie, senza trascurare l’esplorazione telescopica di fenomeni interessanti ed occasionali come le occultazioni.

In sintesi, si sentì la necessità di entrare in una fase di indagine meno dilettantistica in cui l’osservazione del cielo passasse dal livello della passione e del divertimento amatoriali a quello di una conoscenza scientifica più completa e documentata.

Il che necessitava naturalmente di nozioni di fisica e di meccanica celeste sempre più approfondite e rigorose che ora erano assicurate al gruppo dall’ingresso del quinto componente. Francesco Dalla Valle era professore di fisica al Liceo Scientifico di Lugo e conosceva Giuseppe Bartolotti fin da quando erano giovani studenti.

Nella loro ripresa di contatti fu di nuovo il caso a farla da protagonista. Una sera dei primi anni ’60, all’insaputa l’uno dell’altro, erano andati a vedere un film dove c’entravano le stelle, forse all’interno di una trama di fantascienza. All’uscita si incontrarono e si intrattennero a parlare del film: fu abbastanza naturale che il discorso scivolasse su temi di astronomia e che Bartolotti facesse trasparire la sua competenza ed il suo interesse per il settore.

Poiché anche il Dalla Valle non poté non fare riferimenti alle sue conoscenze non soltanto di astronomia, ma soprattutto delle leggi fisiche che la governano e che costituivano parte integrante dei suoi studi e del suo lavoro di insegnante, com’era ovvio che fosse, venne messo a parte dell’esistenza del gruppo di cultori d’astronomia e fu invitato a partecipare agli incontri di casa Bartolotti.

Lì il Dalla Valle rincontrò dopo alcuni anni Giovanni Roccati. Non solo lui, ma anche la piccola cerchia degli altri tre, che del resto egli già conosceva, seppure non sotto il profilo della passione che li accomunava: divenne con soddisfazione di tutti il quinto componente del gruppo e partecipò a gran parte delle fasi di costruzione del telescopio di casa Bartolotti.

Caso voleva che proprio in quel tempo, poco dopo la metà degli anni ’60, presso il Liceo Scientifico, fosse nel pieno della sua attività culturale il Circolo Scientifico voluto e coordinato dal preside Giulio Costa, Circolo nel quale si svolgevano, sulla base delle conoscenze d’allora e sull’onda delle suggestioni per i problemi dello spazio risvegliate dall’astronautica, anche alcune conferenze specialistiche su tematiche astronomiche.
Il prof. Dalla Valle, che partecipava ovviamente a quelle conferenze cui molto spesso era presente anche il preside Costa, divenne il naturale anello di congiunzione tra il gruppo degli astrofili ed il Circolo culturale del Liceo Scientifico.

La contemporanea partecipazione del prof. Dalla Valle ai due centri di cultura non fu tanto importante per il contributo che egli inizialmente diede all’allargamento del quintetto dei cultori dell’astronomia, per esempio con l’inserimento di un altro laureato in fisica (il dottor Angelo Baracca), il quale però, siccome nutriva interessi sostanzialmente diversi da quelli del gruppo astrofilo, offrì una adesione di breve durata; fu, invece, importante non solo per il fatto che mise a disposizione del gruppetto degli astrofili il corredo di delucidazioni e di puntualizzazioni teoriche sulla fisica astronomica, sull’ottica e sulla meccanica che lui aveva e di cui gli altri erano alla ricerca, ma soprattutto per il fatto che indusse gli amici astrofili a partecipare alle conferenze sui temi d’astronomia che si tenevano presso il Liceo Scientifico.

E cosi avvenne che essi entrarono in rapporto diretto con il preside Giulio Costa.

(FOTO telescopio Roccati) Francesco Dalla Valle ben sapeva che il gruppo astrofili ed il Circolo Scientifico potevano trarre reciproco giovamento dalle rispettive attività, visto l’interesse che le imprese spaziali ormai suscitavano ad ogni livello (si era in vista dello sbarco dell’uomo sulla luna), ma in particolare era al corrente che il preside non aveva abbandonato l’idea di costruire nel suo Liceo un osservatorio astronomico dotato di un telescopio ovviamente, com’era proprio del suo modo di pensare, di potenza eccezionale.

Sicché gli fu facile stabilire un immediato collegamento tra le due realtà culturali lughesi, tanto più che, conclusa la costruzione della specola di casa Bartolotti, nel gruppo degli astrofili si era verificato un certo rallentamento di vitalità creativa e partecipativa.

A Giulio Costa non parve vero di cogliere al volo l’opportunità di collaborazione che gli si offriva e di ridare linfa alla passione degli astrofili con la proposta di costruire un nuovo telescopio, più potente di quelli in dotazione ai singoli componenti del gruppo.

L’aspirazione e l’ambizione di tutti, sia di Giulio Costa da una parte ed il gruppo astrofili dall’altra, divennero quelle di mettere a disposizione sia degli studenti che degli appassionati un osservatorio astronomico di tale potenza e precisione che eventualmente avrebbe destato l’invidia di tutti gli Istituti scolastici e di tutti i gruppi astrofili della regione, se non anche oltre.

Giulio Costa, che con lungimiranza aveva provveduto a suo tempo a dotare il Liceo di una officina meccanica e di una falegnameria ottimamente attrezzate, si interessò dei finanziamenti necessari per la realizzazione del progetto e per la preparazione delle necessarie opere di muratura.

In tempi brevi il preside riuscì ad ottenere i finanziamenti in parte dall’Amministrazione Provinciale ed in parte dal Ministero, ma il deus ex machina della costruzione fu ovviamente ancora una volta Giovanni Roccati, che per l’occasione si avvalse della presenza assidua e della assistenza consultiva di amici ormai esperti del settore e animati da ritrovato fervore.

E così, per tante sere dal 1967 al 1971, nonostante la contestazione studentesca post-sessantottina creasse nell’ultimo periodo qualche ostacolo organizzativo, il preside Costa ed il gruppo degli astrofili si dettero convegno nella officina del seminterrato dell’Istituto e tutti ebbero modo di apprezzare l’estrema abilità, la suprema precisione e la cura dei particolari con cui i vari congegni del telescopio e della cupola uscivano dalle mani magiche di Giovanni Roccati.

La convenienza dell’operazione fu, dunque, reciproca: per gli astrofili il fatto di poter contare su di un telescopio con uno specchio di 45 cm di diametro rappresentò il raggiungimento di un ambizioso traguardo e la conquista di uno strumento eccezionale, se non unico, per l’osservazione del cielo; per il preside Costa, il fatto di poter contare sull’aiuto diretto di un gruppo competente e di un costruttore-artista di alta maestria come Giovanni Roccati voleva dire evitare il complesso iter burocratico e la lunghezza di tempi che sarebbero stati necessari se avesse dovuto rivolgersi od affidarsi agli uffici della Amministrazione Provinciale.

Con la costruzione del telescopio del Liceo Scientifico si chiudeva così il cerchio degli eventi che si erano svolti nel corso di quasi tre lustri: essi avevano preso avvio da quell’incontro più o meno casuale di fine ottobre 1957 nell’ufficio di presidenza del Liceo Scientifico ed ora si concludevano con la concretizzazione di una idea che, quasi con certezza su ispirazione di Giovanni Roccati, si era delineata nella mente di Giulio Costa proprio durante l’incontro di cui abbiamo raccontato all’inizio.

L’EREDITÀ DI GIOVANNI ROCCATI

Se oggi si volge uno sguardo retrospettivo sul gruppo lughese degli astrofili formatosi gradualmente nel corso degli anni ’60 e sulle personalità che lo composero, non si può non riconoscere come sia da ascrivere tutta a loro merito, ed in particolare a merito di Giovanni Roccati, sia il fatto eccezionale, forse unico, che nella stessa città, o meglio nel breve spazio di pochi isolati, fossero stati costruiti ben quattro telescopi di quelle dimensioni, sia l’odierna esistenza di quella Società che a Lugo e dintorni continua a svolgere meritoria ed appassionata opera di studio e di divulgazione dell’astronomia.

Nell’aula magna del Liceo Scientifico, nelle sere del secondo venerdì di ogni mese, il Gruppo di Astrofili ‘Antares’ continua a tenere incontri e conferenze per il pubblico sui temi d’attualità nel settore dell’astronomia, ma è soprattutto presso il nuovo osservatorio (che il Gruppo si è lodevolmente impegnato a costruire su, in montagna, a Monteromano, nel comune di Brisighella) che esso svolge regolare attività di ricerca, di informazione e di osservazione per tutti i soci e gli appassionati, oltre che per le scolaresche, che desiderano parteciparvi: se i componenti di quel gruppo originario fossero ancora tutti presenti, ne trarrebbero motivo di enorme soddisfazione, di indiscriminato sostegno e certamente di entusiastica partecipazione.

Il nucleo fondante e pionieristico degli anni ’60 diffuse ed organizzò l’interesse per l’astronomia portandolo dal piano individuale ed isolato ad un piano di più documentato studio di gruppo, dal possesso e dall’utilizzo di strumenti di osservazione personali alla installazione di un osservatorio astronomico accessibile ad un pubblico più vasto, dalla coltivazione di una passione come passatempo privato alla realizzazione di una indagine seria e scientificamente rigorosa della volta celeste.

Il testimone di quella esperienza che aveva risvolti certamente coraggiosi, ma un po’ estemporanei, è passato oggi ad un gruppo di giovani attivi e metodici che hanno ricominciato da dove quel drappello iniziale era arrivato, vale a dire dall’osservatorio costruito presso il Liceo Scientifico.

Purtroppo però i nuovi cultori della osservazione del cielo ben presto han dovuto fare i conti con l’inevitabile cambiamento dei tempi che ha portato all’interno delle città un inquinamento luminoso cosi pesante da rendere pressoché inutilizzabile l’osservatorio (NdR: all’epoca non esisteva ancora nessuna tecnica digitale ma solo fotografica classica!) innalzato sul terrazzo della scuola.

Di qui la necessità di trasferirsi in un luogo dove le stelle fossero ancora visibili come lo erano un tempo, dove il buio fosse veramente tale e dove il cielo notturno fosse ancora un cielo stellato.

L’osservatorio di Monteromano è ciò di cui il nuovo gruppo degli astrofili locali aveva necessità: l’intera struttura è stata allestita da alcuni soci del gruppo seguendo uno stile ed un procedimento alquanto simili a quelli utilizzati dai loro predecessori. (NdR: ispiratore dell’idea fu la proposta di Giulio Tampieri, immediatamente associatosi al gruppo, di ripristinare il telescopio Bartolotti che nel frattempo era andato in disuso a causa della prematura scomparsa dell’Avv. Bartolotti

Ma la continuità tra il gruppo originario di astrofili e quello più recente ha un aggancio ancor più diretto e tangibile: il telescopio che è in funzione nella specola di Monteromano è proprio quello che per mano di Giovanni Roccati venne costruito ed installato a casa Bartolotti.

La famiglia dell’avvocato ha fatto dono alla nuova generazione di astrofili dello strumento che, nella prima metà degli anni ’60, egli con tanta passione e tanto coinvolgimento aveva fatto costruire per la sua abitazione, e la figlia Claudia, con la sua attuale appartenenza ed interessata attenzione alle attività del gruppo ‘Antares’, rappresenta l’anello di congiunzione tra il passato ed il presente dell’astronomia lughese.

Il dott. Enrico Montanari riconobbe tale continuità con le parole di gratitudine e di riconoscenza che pronunciò il 22 maggio 1999, quando tenne il discorso con cui inaugurò l’Osservatorio di Monteromano:

“M13 è un ammasso globulare che si trova esternamente alla nostra galassia con stelle molto vecchie che brillano da più di 10 miliardi di anni. Questo sarà il primo oggetto celeste osservato dal telescopio della donazione Bartolotti. Questo telescopio, dallo specchio di 36 cm, ha quindi radici profonde, radici che hanno tratto linfa dall’entusiasmo, dalla passione e dalla competenza di alcuni pionieri dell’Astronomia Lughese: l’Avvocato Bartolotti appunto ed il Professor Giovanni Roccati, entrambi scomparsi prematuramente e da noi fortemente rimpianti; ma anche Mario Minardi, il Cavalier Giulio Tampieri ed il Professor Francesco Dalla Valle… Trent’anni fa questi uomini costruirono telescopi tra i più grandi allora installati in Italia, strumenti ancor oggi validissimi e che hanno bisogno per funzionare solamente del cielo buio e limpido. Ed è per questo che Monteromano diventa un simbolo: Monteromano rappresenta un baluardo a difesa della memoria della nostra Via Lattea, compagna delle notti degli uomini per migliaia di anni, ma ormai dimenticata nelle nostre troppo luminose città”.

Aggiungiamo noi, un simbolo anche della abnegazione con cui operarono i primi cultori dell’astronomia a Lugo, ma soprattutto un baluardo a difesa della memoria del professor Giovanni Roccati, del suo slancio di precursore, della sua trascinante capacità di trasmettere entusiasmo e di cementare il gruppo, oltre che della sua eccezionale abilità di costruttore-artista.

Tutto questo simboleggia il telescopio che fu frutto del suo talento creativo e che ancora oggi continua a scrutare la volta celeste in quel di Monteromano.

Testo estratto dal libro
Il preside Giulio Costa ed il ‘suo’ Liceo
Autori : Cesarino Brusi e Francesco Dalla Valle
opera finanziata da Fondazione Cassa di Risparmio di Lugo
– Anno di pubblicazione 2006 –

Contatti

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Via Monteromano 33/A, 48013 - Brisighella

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